Le piante medicinali ad uso terapeutico
print this pageL'esercizio della misericordia e la creazione del hortus sanitatis
Le piante medicinali ad uso terapeutico hanno accompagnato l’uomo per tutto il corso della sua storia. La Biblioteca di Biologia Ambientale propone una serie di testi che contengono notizie sull’utilizzo delle piante medicinali a scopo curativo sin dall’antichità. Nell'antica Grecia, gli studi sulle piante officinali si basavano soprattutto sulle nozioni contenute nei testi medici di Ippocrate e in quelli botanici di Teofrasto e di Dioscoride. A quest'ultimo si deve un trattato di botanica farmacologica la De Materia Medica che per secoli era preso a modello nella stesura degli erbari. La più importante e più conosciuta revisione dell’opera di Dioscoride è legata al nome di Pietro Andrea Mattioli, il quale dal 1544 in varie edizioni (le più complete e illustrate erano quelle del 1554 e 1565) ha publicato i suoi ‘Commenti’ agli scritti dello studioso greco.Pietro Andrea Mattioli redasse il più significativo testo di medicina e di botanica dell’epoca, conosciuto con il nome Discorsi di Pier Andrea Mattioli sull’Opera di Dioscoride.
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Virtù fondamentale dell’etica cristiana, la misericordia esprime la compassione per le sofferenze dell’umanità, traducendosi in concreto nella protezione, nell’amore e nella cura verso tutti i bisognosi. La misericordia di Dio, secondo il cristianesimo, ha fornito in natura tutto ciò che necessita all’uomo per proteggersi dalle infermità e dal male, permettendogli di conservarsi sempre in salute.
Sebbene il peccato e Satana abbiano sprofondato il genere umano nel pelago della malattia, la misericordia di Dio, che è alla base di tutte le sue opere, permette la crescita di piante ed erbe medicinali per garantirgli, attraverso la conoscenza delle loro proprietà e del loro impiego, la sanità e il vigore fisico.
Diretta emanazione della misericordia divina le piante medicinali rappresentano i rimedi naturali donati da Dio ai suoi figli prediletti affinché possano lenire tutte le loro sofferenze.
Questo sentimento assistenziale è stato alla base della vocazione dei religiosi che nel Medioevo si occuparono di botanica.
La medicina monastica, pur fondata sulla rassegnazione alla volontà di Dio, si basava sulla carità cristiana e si dedicava a tempo pieno alla cura degli infermi; i religiosi si prodigavano nella costruzione di ospizi in cui assistevano e curavano il prossimo. I monaci offrivano riparo e cibo, curavano gli infermi con salassi e pozioni utilizzando le piante raccolte nei cosiddetti orti dei semplici (hortus sanitatis) creati entro gli stessi monasteri. L’esempio più conosciuto è un progetto d’orto dei semplici, rinvenuto nella Biblioteca dell’Abbazia di San Gallo in Svizzera e risalente all’830 d.C. Nella planimetria di questo complesso monastico si collocava il disegno di un orto con le aiuole rettangolari - realizzazione terrena della Gerusalemme celeste, dimora di Dio con gli uomini - nelle quali erano riportati i nomi di ogni specie vegetale che doveva essere coltivata a scopo curativo.
Le malattie erano ritenute punizioni divine che gli uomini ricevevano per le loro manchevolezze. La misericordia di Dio si fondava sulla speranza di guarigione e interveniva fornendo i semplici: piante con proprietà terapeutiche da usare direttamente così come crescevano in natura.
Molti monasteri diventarono centri di assistenza medica, accogliendo nel corso del tempo poveri e ammalati. Per secoli ostelli, ospizi, ospedali, foresterie, farmacie, lebbrosari o lazzaretti furono gestiti in via esclusiva dalle comunità religiose: secondo le disposizioni ecclesiastiche i monaci erano autorizzati ad assistere i malati solo a condizione che lo facessero gratis et amore Dei erga omnes. Il momento più significativo fu durante il Medioevo e si protrasse nel corso dei secoli XVI-XVIII. In Toscana, per esempio, non esisteva convento che non avesse un orto botanico e una spezieria. Ancora oggi esistono in Italia ottime farmacie monastiche a Camaldoli, Casamari, Trisulti, Praglia, nella Certosa di Pavia e di Firenze, a Monte Oliveto Maggiore, a Montevergine, a Montecassino e alle Tre Fontane a Roma.
Accanto alla concezione religiosa della misericordia, se ne sviluppò una laica anche se inizialmente in modo meno significativo. L’attenzione del mondo laico verso le persone più bisognose si traduceva in donazioni e lasciti da parte dei più abbienti per la realizzazione di strutture che accogliessero i vagabondi, i malati e i forestieri; si trattava spesso di ospedali con annessi giardini per la coltivazione delle piante medicinali. I ricchi cercavano nell’esercizio della carità una forma di redenzione dai propri peccati.
Con le scoperte geografiche si studiarono sistematicamente le piante officinali delle nuove terre e i metodi di cura di popoli fino allora sconosciuti. Lo studio delle conoscenze e dell'uso popolare delle piante medicinali diventa il soggetto di una nuova disciplina, l'etnobotanica, concretizzata soltanto secoli più tardi.
Studiando le usanze delle popolazioni locali minacciate molto spesso dall’estinzione, dall’integrazione distorta e forzata, questa branca della botanica difendeva e preservava un notevole patrimonio di conoscenze naturalistiche per il bene dell’umanità e della diversità. Un esempio in tal senso è rappresentato dal volume The civil and natural history of Jamaica, opera principale del medico e botanico irlandese Patrick Browne, pubblicata a Londra nel 1756 e più volte edita.
I viaggi transoceanici introdussero in Europa nuove specie di piante medicinali che, per i loro costi elevati, non potevano essere utilizzate dalle persone meno abbienti. Furono spesso coltivate nei giardini privati di ricchi collezionisti, ma soprattutto negli orti botanici universitari che nacquero a partire dal XVI secolo. I primi orti furono quelli di Pisa (1544), di Padova (1545), di Firenze (1545), di Bologna (1567) e di Roma (1660).
Gli orti botanici ricreavano ambienti naturali e collezionavano una grande varietà di piante suddivise per generi e specie. Erano aperti al pubblico e visitabili da qualsiasi cittadino come recitava il decreto di fondazione dell’orto padovano: un amplissimo giardino per comodo pubblico et ornamento della medicina. I meno abbienti potevano individuare piante medicinali e commestibili anche rare o esotiche, conoscerle meglio e imparare ad usarle evitando le frodi nei mercati e nelle botteghe degli speziali.
Fonti
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